di Marcello Buttazzo –
Taccio,
raccolgo frammenti di tempo
in questa notte piena di richiami.
Notte maldestra, calpesto le parole
e sogni consunti fanno capolino al mattino
soffusi nella mia ineffabile voce.
Prima viene la vita e poi la scrittura. Prima vengono i vissuti, gli accadimenti, le varie vicende, poi viene la storia redatta sulla pagina scritta, con l’inchiostro dell’anima. Prima vengono le gioie, i dolori, le ebrietà, le salite vertiginose, le cadute rovinose, poi viene l’ardire di evocarle, di raccontarle, magari con un anelito d’universalità. Che poi è la prerogativa della poesia autentica di Marta Toraldo, laureata in Scienze filosofiche, autrice nel 2019 di “Canto a voce sola”, raccolta di versi pubblicati da Spagine Poesia. Il suo esordio poetico risale al 2009, quando per Lupo l’allora diciassettenne Toraldo licenziò “Vie fuggitive”. “El Vacio” e “Rebus” sono sillogi del 2013 e del 2015. La formazione accademica di Marta è essenzialmente filosofica, tanto che nel 2015 per Pellegrini Editore l’autrice ha dato alle stampe uno studio su Remo Cantoni, filosofo e antropologo milanese.
Dicevamo che prima della scrittura viene la vita vera, quella bordeggiata per le strade, per le vie, fra la gente. Prima di parlare un pochino di “Canto a sola voce”, mi preme sottolineare che ho il piacere e il privilegio di conoscere Marta Toraldo. Una giovane sensibilissima, dolce, delicata, che sa scendere a fondo fra le maglie più amaranto dell’esistenza. Provo gioia nel rapportarmi ad una ragazza così elegante nei sentimenti, perché permette, fra le altre cose, di gustare il sapore intenso dell’amicizia, della comprensione. Marta ha la sua spiritualità spiccata, ha l’ardire d’un Dino Campana. Come il grande poeta di Marradi, lei non s’accontenta delle miserie dei beni materiali, ma esige gettare un ponte fra la terra e l’infinito. È una giovane donna accogliente, che sa lumeggiare l’incontro con il sorriso serafico dei suoi denti di perla. È una ragazza che crede in sani principi e valori universali, che questa distratta società postmoderna talvolta dimentica e fa scivolare in una botola di agghiacciante oblio.
Ho letto con enorme interesse “Canto a voce sola”. In copertina, campeggia un’opera di Valentina D’Andrea, “Una calma fioritura”, un acquerello su carta naturale, pensato e tratteggiato appositamente da Valentina per l’amica Marta. Un bellissimo acquerello, che a colori tenui esprime la grazia, la vivacità, l’intelligenza poderosa di Marta. La prefazione del libro è di Mauro Marino, il quale giustamente si sofferma soprattutto sul concetto di tempo, che è una variabile viva e presentissima nei versi dell’autrice. “Un corpo a corpo con il Tempo, messo lì, sovrano a governare, in un principio che non ha nome. Il tempo del poeta è fatto di soffi, un suono interiore governa, detta i versi, nel continuo rinnovarsi della giovinezza, nella continua necessità di comprenderne l’impeto, di conservarla intatta allo stupore”, scrive Marino.
Per la poetessa, il tempo parla con i suoi colori, comunica emozioni con i suoi ritmi pieni di pathos. Il tempo è la veste dell’anima, un abito di rimpianti e di desideri, di sogni e di inganni. Il tempo ha le sue stagioni, alterna la paura e l’agire, il silenzio e la scossa. I versi di Marta Toraldo hanno il cuore poetico e l’innervazione filosofica, la consapevolezza matura della ragione. Lo scorrimento delle parole, a tratti, ha un andamento d’un lirismo illeso; altre volte, il procedere è incentrato su registri più vagamente prosastici, sempre efficaci per esprimere la critica serrata ad un Occidente opulento, insensibile all’alterità, ad esempio alle navi cariche di migranti. Questa ordinarietà potrebbe essere dannata alla perdizione, ma c’è sempre una scappatoia. La via di salvezza per l’autrice è la spiritualità, l’amore immenso espresso per il Cosmo. Le preghiere, le suppliche dei migranti sono poesia che valica i confini. In “Canto a voce sola”, arricchito dal verso libero, si susseguono diversi temi portanti, che sono evidentemente non solo nell’immaginario di Marta, ma figurazioni sostanziali che toccano tutti gli uomini, tutte le donne. Il tempo, a cui abbiamo accennato, è un tempo che cura, che graffia, che sfugge. Il sogno è quel porto quiete di chi vive senza fermare il tempo. I sognatori custodiscono il tempo, lo accudiscono, nei fatti reali della vita. L’amore. L’amore va, procede, perché la poesia di Marta (pur con varie sfumature di canto civile) è preminentemente un canzoniere d’amore. L’amore, per l’autrice, è un canto dell’anima, come il canto d’una sirena, un’alba rossa, la bellezza del mattino, le rose ricevute sotto il portone. Nei versi alleggia anche una certa fragilità e una certa sofferenza, che sono prerogative delle coscienze più belle. Marta Toraldo è giovane, l’abbiamo detto. Conserva sempre una freschezza invidiabile nei suoi versi, uno stupore bambino che è proprio di una trentenne. Stupore che è cifra inerente della sua poetica. C’è in “Canto a voce sola” una tendenza sophianalitica della poetessa, allorquando scrive: “Non smetterò mai/ di illuminare il cammino/di raccogliere il dolore/ e trasformarlo in forza, in vigore/”.
Dimensioni sovrumane
nei mari congelati
deserte le spiagge.
Crisalide luminosa
ti specchi nel mattino.
Onde in movimento baciate
dal sole di un meriggio
dai colori cangianti
negli sguardi vivaci.
Animo vivente
come una cuspide di malva
in un paradiso artificiale.
Città caotiche in penombra
nella nebbia soffusa
calore dell’estate
baciato dalla brezza del vento
in vortice di freschezza.
Marcelo Buttazzo