El Vacio

Introduzione a El Vacio
di Stefano Donno

Marta Toraldo e la mistica del nichilismo Verso la fine degli anni ’90 il territorio salentino è stato protagonista di un rinascimento poetico, che ha poggiato le sue basi su una tradizione di percorsi non sempre semplici, raramente omogenei, quasi sempre disarticolati. Peculiarità distoniche e distopiche frutto di un costante lavorìo di carne e sangue, umori, esistenze talvolta ai limiti del pindarico, puntualmente ai confini dell’oltre. Le tante cicatrici ancora aperte della storia della poesia contemporanea salentina (oggi sempre più di valore e che nulla ha da temere rispetto al resto del territorio nazionale), hanno la capacità di parlare con i versi della grande Claudia Ruggeri, del selvaggio Salvatore Toma, del visionario Antonio Leonardo Verri; le tante cicatrici ancora aperte della storia della poesia contemporanea salentina hanno il potere di costruire mondi giocando con il ritmo e il senso del dire, del denunciare, del resistere, del misurare l’esistenza passo dopo passo, come nella poesia di Simone Giorgino, Laura Sergio, Luciano Pagano, Vito Antonio Conte, Gianluca Conte, Alessandra Peluso, e la giovanissima Anastasia Leo, solo per citare pochi esempi. E la vivacità di tutto questo magma incandescente che si è riversato in multiformi appuntamenti poetici pubblici (nei pub, nelle piazze, nei palazzi, nelle rassegne e che 8 9 ha trovato la sua esplosione tra il 1998 e il 2002) ha funzionato da incubatore di esperienze altre, di grande impatto e di pulsante lucidità.

Nelle mie costanti peregrinazioni nei boschi della Poesia, dove facilmente ci si può perdere e quasi mai bastano delle briciole gettate a terra per ritrovare la strada del ritorno, mentre le ombre si addensano fitte e minacciose, mentre si cerca con bramosìa e un pizzico di sano egoismo il gusto del verso e del sogno, ecco che una luce abbagliante, pulsante, incontenibile mi acceca lasciandomi pieno di meraviglia e stupore. Scopro così all’improvviso i versi di Marta Toraldo, poi conosco lei. Due passaggi organici e intimamente reciproci indispensabili per comprendere e leggere il suo dettato. Ho apprezzato il primo lavoro di Marta “Vie fuggitive” edito da I libri di Icaro, poi questo suo secondo lavoro dove l’autrice pare voler mettere nero su bianco tutta una mappatura sentimentale e ragionata di sogni, desideri, istanze che lentamente costruiscono il mosaico della sua identità. Forse più che un vero e proprio manifesto, una bussola, uno strumento indispensabile per orientarsi quando ci si perde, quando il senso del vivere perde i suoi contorni e pare che ci si relazioni solo con dei fantasmi, quelli che popolano le nostre notti insonni, o che animano le nostre paure più profonde.

Scrive l’autrice: «Volevo capire l’importanza | delle azioni | degli obbiettivi | delle stesse capacità | di andare avanti | in cerca di una strada futura…| E tutte le volte che mi dicevano| di lasciare perdere| la mia curiosità | divampava di spasmo». La poesia presentata in questa raccolta sembra essere dotata di vita propria ovvero pare che una volta inchiodata alla pagina dall’autrice cerchi di ritornare poi alla sua forma di totalità, che per un capriccio di chissà quale gioco cosmico può tanto rivelarsi per sostanza che per spirito. Spazio e Tempo sono due categorie che non appartengono a questa poetessa, che del romanticismo non ne fa melancolia e lacrima, ma forza distruttrice di attivo nichilismo, dunque incontenibile furia che consciamente sceglie di distruggere per costruire. Certo i rischi del farsi sacerdotessa del verso, Marta li conosce bene, sa che i pericoli sono dietro l’angolo o meglio sa che il prezzo da pagare può essere esorbitante tanto che nel trasformare in lirica pensieri, dubbi, immagini o impulsi ricorrenti e persistenti sovente un “cortocircuito” alla ribellione diviene inevitabile, incontrollabile, inarrestabile: «Mani tremanti | fiato sospeso e mente assente | caotica radio senza fili connettori ascoltami | impara a decifrare meglio i miei sogni! | Oblìo tenebroso | vortice confusionario | vi supplico di cessare. | La tollerabilità alla rabbia ha superato ogni limite | anarchia più totale | prendimi per poco. |Fantasie immerse di fronte | a spettrale apatico declino di colori | recupero sensazioni | coglietemi in un risveglio sorprendente. | In questa finta maschera di tolleranza | in balia di paure poco chiare | quanto forti | prendete sostanza in ostacoli combattibili. | Il potere dei desideri sembra essere l’unico modo per superare | un’anarchica modalità di vivere | dentro un tempo escatologico nichilista e indifferenziato | da qualsiasi fondamento dionisiaco di estatiche emozioni». 10 11 Il risultato di tutto questo essere-per-la-dominazione, può talvolta manifestarsi nel poeta in un momentaneo senso di spossatezza, o di sfiducia in un futuro popolato da stereotipi, omologazioni, sub-creatività partorite da un ormai sterile mercato dello spettacolo. Il mondo che Marta Toraldo vede e che ci presenta nelle pagine di questo libro, è un mondo fatto di negazioni… per l’esattezza di negazioni del Sé, del corpo, dei sentimenti. La negazione in questo caso sfocia in un specie di fanatico e folle (in senso buono naturalmente) dogmatismo che trova la soluzione in una modalità lacerante perché assolutamente dicotomica! Il Bene e Male, il Peccato e la Purezza, la Verità e la Menzogna, vengono visti come non solo monadi non comunicanti tra loro, ma addirittura, galassie che lottano tra di loro per la sopravvivenza. E allora due soluzioni totalizzanti, due metodi ancestrali e onnicomprensivi risultano le chiavi di volta indispensabili a Marta per diventare la regina di questa parte di universo. La prima plausibile soluzione porta l’autrice ad abbandonare la soffocante zavorra del peccato e del senso di colpa, e a dichiararsi pronta alla Vita, a dire il suo personalissimo Sì alla Vita. Ma per fare questo deve concedersi un ulteriore “lusso” che è quello della volontà di potenza (in tedesco Wille zur Macht), ovvero un autentico salto di paradigma che trasforma questo lavoro poetico in una transvalutazione dei valori, dove si inceneriscono all’istante in un sublime e musicale rogo purificatorio ipocrisie, malumori, dubbi, amarezze e grazie al quale tutto si permea di una tale e tanta chiarezza da rendere ogni cosa assolutamente intelligibile e completamente manifesta.

Marta Toraldo in questa sua ultima opera desidera con tutta se stessa, in maniera continua, senza prendersi un momento di pausa o riflessione, il suo stesso accrescimento, il suo stesso potenziamento come donna, come essere umano, come visione poetica quasi a sentire come genomatica una spinta verso il proprio rinnovamento, verso la propria evoluzione. Lei sente di guardare Oltre, di vedere l’Oltre, di sentire L’Oltre, e ha oramai una piena fiducia nelle sue forze, tanto che può assumere su se stessa il peso di questa volontà creatrice, il peso dell’eterno ritorno dell’attimo creativo, che gioca con il Destino la sua partita a dadi. Ma forse Marta la Verità la conosce, e la vuole condividere con quanti leggeranno i suoi versi: la potenza della creatività puntualmente volge al suo annientamento, per poter rinascere nuovamente. La Verità una volta portata in superficie dagli inferi della Menzogna, assume già uno statuto di non-verità, per cui ogni desiderio di approdare a un traguardo definitivo deve sostituirsi al traguardo medesimo, per non restare in catene nelle forme che esso stesso produce. Marta Toraldo ora con questa sua brillante prova per versi è pronta a entrare nell’Oltre della Poesia.

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